Alcune settimane fa ho incontrato Lucia Rea alla Biblioteca Nazionale di Napoli per chiederle   l’autorizzazione a inserire “Purgatorio”, un articolo del padre, in una mia pubblicazione sul cimitero delle Fontanelle. Conversando, le ho parlato di un altro mio lavoro, quello su via Foria, che avevo concluso riportando quanto Domenico Rea aveva scritto tanti anni fa sul viale che dall’Albergo dei poveri porta al Museo Nazionale. Che cos’è  via Foria, si chiedeva Rea?  “Una sfida. Basterebbe riportare i palazzi all’antica dignità, rinverdirla di giardini pubblici, aggraziarla di bar e tavolini, e forse, qui più che altrove, risplenderebbe il sogno di un sovrano illuminato”. E lo stesso Rea con disincanto aggiungeva: “Si fa per dire, perché spesso le soluzioni più ovvie appaiono le più difficili”.

Questo sogno del sovrano illuminato di cui parla Rea è stato infatti smarrito da gran parte della cultura napoletana.  Per Matilde Serao via Foria era una strada triste; per Anna Maria Ortese era “la grande strada” che porta al cimitero. Quando ho chiesto alla  principessa di Sant’Elia, passeggiando nel giardino delle camelie della sua splendida villa a Barra, “perché non torna a vivere nel vostro  palazzo di via Foria””, mi ha risposto: ”è una strada triste”. Anche Gae Aulenti, nel rifacimento dell’ultimo tratto del viale, si è piegata a questo smarrimento della cultura napoletana ed ha trasformato i giardini di piazza Cavour, l’antico Largo delle Pigne, in tanti vicoletti.

Ma non bisogna mai disperare, anche a via Foria qualcosa cambia.

Quando vado da Lello il barbiere faccio quattro chiacchiere e l’argomento preferito è sempre via Foria: cosa succede nella “grande strada”. E parliamo delle novità. I lavori fatti alcuni anni fa, con la tenace battaglia dell’Associazione Centroforia, hanno eliminato le controcorsie e  la “grande strada” oggi ha dei marciapiedi con una larghezza che non ha riscontro in altre strade della città. Su questi marciapiedi si  stanno posizionando i tavolini di nuovi ristoranti e di nuovi bar. Nuovi negozi si sono aperti, altri si sono ristrutturati.

Certo c’è la crisi economica, ci sono i motorini sui marciapiedi e sui rifiuti è meglio sorvolare, ma è piacevole vedere giovani e anziani, avvocati e  testimoni,  ragazzi e ragazze seduti ai bar. Anche le poche panchine messe dal Comune sono spesso occupate da donne anziane che chiacchierano.

Lello non è convinto del cambiamento, è perplesso, ma Antonio si! Ha aperto un bar a via Foria e l’ha intitolato a Murat, il Re che completò l’opera di Carlo III.

Si realizzerà dunque il sogno del sovrano illuminato? Non lo sappiano. Domenico Rea e via Foria ci dicono che la modernità è una sfida: è la capacità di realizzare i sogni.