Eduardo non rappresenta la plebe, ossia una buona parte dei napoletani. Non rappresenta il versante realistico, curioso e tragico, di un universo che rimane, tra l’altro, un mistero socio-antropologico indecifrabile. Lo sfiora, lo avverte, vi allude ma, non possedendolo, lo scarta. L’opera di Eduardo, però, occupa uno spazio cospiquo e rivelatore: quello schizoide, pieno di tic e di vanità della miseria dignitosa, popolata di personaggi che, al contrario delle creature urlanti e frementi della plebe, distruggono la propria vita sotto un tic.[…]
Eduardo è un creatore di personaggi ondeggianti; che già sanno tutto e ripercorrono le vie della loro vita per convincersi che si erano, sì, sbagliati, ma sulle inerzie, sulle rifiniture. Ma il fatto centrale era quello, senza misericordia. De Filippo è questo: il piacere della macerazione silenziosa; quello di stare in solitudine, di pensare a un pensiero fisso ai limiti di una metodica follia, in vitro, squartata ed esaminata da ogni parte, ricomposta, poi, e buttata via come un ferro vecchio.
in D. Rea, Opere
Milano, A. Mondadori, 2005