Dedica:
«Ad Alberta e Ugo Del Torto»

Fu Rea nel 1946 a pubblicare la “Breve storia del contrabbando” in cui demitizzava, attraverso una cronaca spietata dei fatti, tutta l’impalcatura folcloristica gravante su Napoli e fu lo stesso Rea nel 1949 a denunciare nel saggio “Le due Napoli” il paternalismo costante della letteratura indigena e la suddivisione in due città – distinte, separate e incomunicabili – di quella unità apparente che non è mai stata Napoli.

Allora egli parlò di una colonna d’ingiustizia piantata nel dissonante cuore della gente e attraverso dieci libri non si è mai stancato di ribattere su questo chiodo fisso. Napoli per Rea è la più complessa, a volte palese a volte misteriosa, forma di società disorganizzata, fino ai limiti dell’anarchia, del nostro Paese. La ventata neocapitalistica a un certo punto sembrò sovvertire il vecchio sistema, ma a lungo andare, le piaghe, i difetti, i vizi e il parletico deambulante di migliaia di napoletani sono riemersi, a volte riacutizzati. I bassi – ossia la scena di fondo immutabile – sono rimasti dove li fece cadere un “dio” molto ingiusto. Disoccupazione e sottoccupazione continuano a imperversare. L’educazione civica e morale rimane approssimativa, i servizi rudimentali; in gran parte per colpa di chi detiene il potere di decidere, ma per un’altra buona parte per una fondamentale carenza di socialità degli individui. Questo Diario Napoletano, che è una sezione di quello che Rea ha scritto e va scrivendo, non ha il carattere della mano pesante, tutt’altro. Troppo facile è divenuta l’accusa contro Napoli. Troppo nota la sua condition humaine. Le cartelline di cui si compone il presente libro sono cariche di battute per invogliare il lettore a sorridere.