«Tutto era fatto a mano ed esigeva complessi, deliziosi rituali di decisione, scelta della stoffa, prima prova, seconda e terza prova dal sarto personale: confezionato l’abito, si trovava il difetto. Ma era il tempo in cui un vero signore non avrebbe mai indossato un vestito che non avesse almeno un piccolo difetto, poiché la perfezione era considerata un fenomeno di massa».

Con nostalgia leggera come un cashmere e drappeggiando di ironia finissima quel tempo non lontano in cui la cravatta era un principio di ordine morale, Domenico Rea illustra in questo galateo da tasca tutti i canoni dell’eleganza classica maschile e, facendo la storia del guanto, del bottone, della camicia o del bastone da passeggio, oppone allo sciatto appiattimento casual dei nostri giorni senza fantasia il piacere sensuale di una mise ben intonata e la felicità vivida di una prosa policroma che, fingendo di dare precetti austeri sulla volubile arte dell’abbigliamento, conduce alla smagliante evocazione dell’ultimo fantasma della moda.