Dedica:
«A Leonida Répaci»

Ha dato occasione al Ritratto di maggio di Rea il ritrovamento in una soffitta di un vecchio ritratto scolastico, una di quelle foto tradizionali che nelle scuole, a maggio, appunto, usano farsi per ricordo. La storia descrive le giornate di un anno di scuola di una prima elementare, quando i bambini sono appena usciti dall’area protettiva materna e odorano d’istinto.
La vita di scuola che ci viene narrata deve essere collocata negli anni che precedono il secondo conflitto mondiale, quando sotto il regime fascista le norme legislative tentano di ignorare ufficialmente le divisioni di classe, tanto più che su i medesimi banchi siedono sia i figli del sottoproletariato più negletto, sia i rampolli della razza padrona; e dunque si stabilisce un confronto in campo aperto. Il che, beninteso, non porta a una dissoluzione miracolosa delle differenze, dei conflitti, anzi quell’apparente, ipocrita stato di parità li esaspera: c’è chi, al comune appuntamento, giunge in auto, magari accompagnato dall’autista di famiglia, o circondato dai baci e dalle tenerezze di una madre protettiva e chi invece arriva a pancia vuota, o dopo lunghe veglie per adempiere a lavori penosi e indicibili, tanto da addormentarsi subito sui banchi, cadendo in una sorta di letargo. Ma l’io narrante non ha né tempo né voglia di inveire contro la razza padrona, o di circondare i vinti di una pietà di maniera: si limita a registrare, con prontezza e nitidezza, senza falsare il responso, senza indorarlo o spingerlo verso esiti programmati.