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Domenico Rea nasce a Napoli nel 1921.

Suo padre Giuseppe è un ex carabiniere, sua madre, Lucia Scermino, una levatrice, il vero sostegno economico della famiglia. Prima di Domenico, sono nate due sorelle, Raffaella e Teresa.

Nel 1924 la famiglia si trasferisce a Nocera Inferiore, paese dell’entroterra vesuviano e luogo d’origine del padre. Da piccolo Rea vive un’infanzia libera, aperta alle esperienze della strada e della campagna, è un bambino volitivo, ma rivela anche, in ambito scolastico, una forte volontà di apprendere e notevoli attitudini per la ginnastica e lo studio, in particolare della geografia e dell’italiano.

Dopo le elementari frequenta una scuola d’avviamento professionale e non va al ginnasio, nonostante il consiglio degli insegnanti. Inizia per il futuro scrittore un periodo di assoluta libertà. Spesso accompagna il padre e i suoi amici in escursioni nei paesi vicini, alla ricerca di fiere e osterie, e l’incontro con la letteratura avviene in modo casuale. I suoi primi due libri li ruba da un carretto, durante un mercato a Salerno: le Operette morali di Leopardi e il primo volume della Storia della letteratura italiana di De Sanctis; da questo momento Rea inizia la formazione di una vastissima biblioteca.

Ancora adolescente a Nocera incontra per la prima volta interlocutori in grado di renderlo consapevole del suo talento: sono il frate francescano Angelo Iovino – che gli trasmetterà la passione per i novellieri trecentisti – lo psichiatra Marco Levi Bianchini, amico di Sigmund Freud, Luigi Grosso, uno scultore anarchico confinato dal regime fascista a Nocera, e Pasquale Lamanna, raffinato uomo di lettere, che insegna al liceo di Castellammare.

Al Centro di ricerca per la tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia sono conservati circa quattordici quaderni, che vanno dal 1937 al 1940, più un numero notevole di fogli sparsi, che testimoniano come per Rea scrivere è gia diventato un bisogno vitale e persistente. Nel 1939, a diciassette anni, partecipa a un concorso letterario bandito dalla rivista «Omnibus», diretta da Leo Longanesi, con il racconto È nato. Non vince il concorso, ma Longanesi lo elogia e lo invita a continuare a scrivere.

Comincia a collaborare al settimanale salernitano «Il Popolo fascista» e a «Noi giovani», il quindicinale del GUF. Durante la guerra conosce Michele Prisco e Annamaria Perilli, che diventerà sua moglie. Nel ′44 si iscrive al PCI e diventa segretario della sezione di Nocera.

Inizia a frequentare spesso Napoli e il gruppo di giovani intellettuali che darà vita alla rivista «Sud» e stringe amicizia con Luigi Compagnone, l’eterno “amico-nemico”. In una di queste incursioni napoletane conoscerà Francesco Flora, amico intimo di Benedetto Croce. Flora sarà il primo a credere veramente in lui come scrittore, e lo aiuterà a pubblicare sulla rivista «Mercurio», diretta da Alba de Céspedes, un racconto: La figlia di Casimiro Clarus.

Conclusa la guerra, l’attenzione di Rea si sposta su Milano, in cerca di agganci editoriali. Ritrova Luigi Grosso, che gli procura l’ospitalità di Giacomo Manzù e la conoscenza di intellettuali come Montale, Quasimodo, Gadda, Rèpaci, Anceschi.

L’incontro determinante sarà quello con Arnoldo Mondadori e suo figlio Alberto; con loro avvia una vivace quanto sofferta corrispondenza, che precede e accompagna le sue pubblicazioni con la grande casa editrice. Dopo l’esperienza milanese torna a Nocera, dove scrive, ma passa anche da un lavoro all’altro, sempre pressato da necessità economiche.

Alla fine del 1947 Mondadori pubblica il libro di racconti Spaccanapoli, grande successo di critica, ma non di vendite. Rea continua a scrivere racconti, ma Mondadori aspetta da lui il romanzo.

Nel 1948 esce il dramma Le formicole rosse, e per quanto l’impresario Remigio Paone e il regista Strehler gli facciano sperare in un allestimento teatrale, dovrà passare molto tempo prima che questo avvenga. Dopo qualche mese d’emigrazione in Brasile, dove tenta di trovare la concentrazione per scrivere, Rea fa ritorno in Italia.

Nel maggio del ′49 muore la madre Lucia, da lui molto amata, e, nell’autunno dello stesso anno, sposa Annamaria Perilli. Privo di un lavoro fisso, collabora a varie testate, ma alla fine dello stesso anno trova un impiego alla Sovraintendenza alle Gallerie d’Arte e va ad abitare a Napoli.  Nel contempo, un nuovo libro di racconti sta prendendo forma, con la prefazione di Francesco Flora: Gesù fate luce.

Uscito nel ′50, il libro riscuote grande successo di critica e di pubblico, partecipa al premio Bagutta, è quinto nella cinquina dello Strega, primo al Viareggio presieduto da Leonida Rèpaci. È un momento di grande successo per Rea; cominciano le prime traduzioni all’estero, le prime richieste di diritti cinematografici, le collaborazioni a giornali importanti.

Nel 1953 è pubblicato Ritratto di maggio, un libro quasi autobiografico sulla scuola, che viene definito l’ “Anti-Cuore”. Il libro ha successo, ma più che un romanzo è un racconto lungo.

Nel ′54 nasce la figlia Lucia.

ll rovello di Rea continua a essere il romanzo che Mondadori pretende, mentre lui insiste a dichiararsi uno scrittore di racconti.

La signora scende a Pompei, Gli oggetti d’oro, Idillio, Quel che vide Cummeo, Madre e figlia, La spedizione, e, in appendice, il saggio Le Due Napoli, costituiranno il libro Quel che vide Cummeo, pubblicato nel 1955.

Di ritorno da un viaggio a Praga nel 1956, Rea, non senza sofferenza, si distacca dal PCI, ma continua a frequentare i suoi amici intellettuali, che sono tutti legati al partito.

Nello stesso periodo intrattiene anche una intensa corrispondenza con l’autore-editor della casa editrice Einaudi Italo Calvino, progettando un volume sulla commedia napoletana che non sarà mai pubblicato.

Alla fine del ′58 Formicole rosse viene rappresentato, con un discreto successo in un piccolo teatro romano. Nel frattempo Rea ha in cantiere il romanzo, che finalmente uscirà nel 1958 con il titolo Una vampata di rossore. È la storia di una tragedia familiare e di un’agonia che si dilata per tutta la lunghezza del romanzo. Il libro non viene accolto come Rea spera, né dalla critica né dal pubblico.

La crisi, e il suo silenzio durato molti anni, prendono inizio proprio da questa vicenda narrativa.

Nel 1960, insieme a Luigi Incoronato, Michele Prisco, Mario Pomilio, Leone Pacini Savoj e Gianfranco Venè darà vita «le ragioni narrative», rivista che chiuderà l’anno dopo. Tra il 1960 e il 1961 esce, prima con l’editore napoletano Pironti e poi con Mondadori, Il re e il lustrascarpe un volume che raccoglie saggi e articoli di giornali. Nel 1965 con I Racconti, che è una collezione di tutte le novelle, vince il Premio Settembrini. Sempre nello stesso anno pubblica L’altra faccia, un volume eterogeneo che comprende poesie, racconti e un amaro saggio autobiografico, che dà il titolo al testo.

A Napoli, per la libreria Guida, organizza incontri culturali con scrittori come Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Giuseppe Ungaretti. Nel 1970 Rea diventa giornalista alle dipendenze del Centro Rai di Napoli e collabora al «Corriere della Sera». Il libro importante di quegli anni, è Fate bene alle anime del Purgatorio, che nel 1977 è pubblicato da Mondadori.

Dal 1980, collabora assiduamente a «Il Mattino» di Napoli, per la cui testata scrive alcuni reportage di viaggi.

Il 1985 si può considerare come l’anno del suo ritorno; con l’editore Rusconi pubblica Il fondaco nudo, una rielaborazione di racconti e saggi degli anni precedenti.

L’anno dopo viene ristampato Spaccanapoli e nel 1987 escono i Pensieri della notte, che raccoglieranno un discreto successo.

L’inizio degli anni ′90 segna l’uscita dei tre ultimi libri, tutti editi da Leonardo, la casa editrice fondata da Leonardo Mondadori: Crescendo napoletano pubblicato nel 1990, nel 1992 L’ultimo fantasma della moda e infine il romanzo Ninfa plebea con cui vince il premio Strega.

Rea si spegne il 26 gennaio 1994 colpito da ictus.